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Il programmatore non è un lavoro per (soli) nerd: intervista al 5 volte Salesforce MVP Enrico Murru

Enrico Murru, 5 volte Salesforce MVP

Abbiamo intervistato Enrico Murru, 5 volte Salesforce MVP, il quale ci ha raccontato come la professione del programmatore non sia più appannaggio dei cosiddetti "nerd" ma un'opportunità per tutti coloro dotati di una mente aperta ai cambiamenti.

Parlaci un po’ di te: di cosa ti occupi e qual è stato il percorso formativo e professionale? Come ti sei avvicinato al mondo Salesforce?

Mi sono avvicinato a questo mondo grazie a un amico che a 16 anni era già un ottimo programmatore in ambito Visual Basic prima e C++ dopo. Mi ha aperto gli occhi: il mio cervello ha fatto “click” e ho finalmente capito cosa volesse dire programmare, creare algoritmi, risolvere problemi.

Da allora non mi sono più fermato, ho continuato a coltivare la passione per la programmazione imparando nuovi linguaggi e proseguendo i miei studi fino alla laurea magistrale in Ingegneria Elettronica presso l’Università di Cagliari, durante il percorso ho scelto e divorato tutti i corsi obbligatori e facoltativi di programmazione.

È stato dopo la laurea che finalmente ho conosciuto Salesforce. Le cose belle nella vita iniziano per caso e il mio arrivo in WebResults nel lontano 2009 è stato davvero casuale: non conoscevo Salesforce, non ne avevo mai sentito parlare, ma in pochi mesi mi sono allineato alla tecnologia, me ne sono innamorato, e ho capito che sarebbe stato l’amore della mia vita (dopo mia moglie, naturalmente!).

Il mondo di Salesforce era totalmente nuovo rispetto alle usuali community dei programmatori, lo spirito di cooperazione e aggregazione era incredibile, tutto il materiale per la formazione (anche prima dell’esistenza di Trailhead) era disponibile gratuitamente online, potevi certificarti senza spendere un centesimo nella formazione, in caso di problemi potevi chiedere ad una community di migliaia di esperti e potevi star sicuro che prima o poi avresti ricevuto la risposta ai tuoi dubbi…wow!

È proprio la comunità globale che ti ha attribuito dei riconoscimenti importanti, giusto?

Dopo aver preso le mie prime certificazioni (ora siamo a quota 19, potreste pensare che sia un numerone, ma vi assicuro che ci sono esperti che quasi raddoppiano questo numero!), ho aperto il mio blog nel 2013 e nel 2016, inaspettatamente, sono stato nominato Salesforce MVP. Questo evento mi ha fatto capire che stavo dando un contributo alla community maggiore di quanto pensassi e che poiché tante persone in giro per il mondo avessero deciso di “perdere del tempo” per scrivere la nomina e supportarmi, di fatto mi riconoscevano come un punto focale della Ohana Community.

Aggiungiamo a questo percorso la carriera lavorativa in WebResults, la mia grande famiglia, che mi ha portato a dare supporto a tutti i team e progetti come “guru”, l’espertone aziendale (la percezione è che io sappia tutto del mondo Salesforce, in realtà sono bravo a recuperare le informazioni, la mia memoria non è così buona!), la cura del mio blog personale e l’avvio, nel 2016, del progetto ORGanizer for Salesforce, estensione cross browser per migliorare la produttività di sviluppo/configurazione, in aggiunta ad altri mini progetti che ho pubblicato gratuitamente sul mio account GitHub e alla stesura di 2 manuali tecnici dedicati agli amministratori Salesforce…insomma, potete comprendere che sono totalmente dedicato alla causa e che, volente o nolente, ho proiettato l’intera mia carriera sul mondo Salesforce.

Mi reputo una persona molto fortunata: il mio lavoro coincide con una delle mie più grandi passioni: mi potreste sentire lamentarmi per la stanchezza nei periodi più difficili e impegnativi, ma non mi sentirete mai dire che odio il mio lavoro.

Spesso si pensa a quello del programmatore come un lavoro principalmente da “nerd” e per cui servono competenze elevate. È ancora così?

Saper programmare richiede anni di esperienza: è come andare in bicicletta, prima impari in modo incerto poi una volta diventato esperto, puoi partecipare e perchè no, vincere, il Giro d’Italia.

A differenza di quello che si può pensare, non serve necessariamente una laurea o un corso specializzato per poter diventare un ottimo programmatore (anche se certamente aiutano), ci vuole tanta passione, pazienza, voglia di esplorare e imparare e una mente aperta ai cambiamenti.

La professionalità del programmatore è sicuramente di alto, anzi, altissimo livello. Oggigiorno, è uno dei lavori maggiormenti richiesti dal mercato, ma non bisogna essere dei geni assoluti. Programmare è come imparare a comunicare in un modo totalmente differente, una volta appresi i concetti base, è possibile addirittura comprendere ed esprimersi in diverse lingue…si diventa dei veri e propri poliglotti.

Se aggiungiamo che piattaforme come Salesforce permettono di sviluppare competenze “low-code” (le figure degli “administrators”) che quindi non richiedono un background tecnico totale, ci accorgiamo che potenzialmente chiunque può entrare nel mondo della programmazione con competenze più o meno forti, e colmare così le lacune presenti nel mercato.

Salesforce in questo è molto attiva, il concetto della riconversione o re-skill è di grande importanza nella community. Se si curiosa nei blog e sui canali social si trovano tanti esempi di storie di successo di persone volenterose che hanno deciso, usando unicamente gli strumenti a disposizione online, di passare da una condizione di disoccupati o occupati ma non in modo soddisfacente e appagante, alla condizione di lavoratori felici e soddisfatti.

Che caratteristiche deve avere una persona che vuole intraprendere un percorso di questo genere?

Primo requisito è la conoscenza, anche basilare, della lingua inglese: il materiale disponibile è al 99% tutto in lingua inglese, così come la maggior parte dei blog e portali di divulgazione, ma avendo un buon tutor, è possibile bypassare anche questo vincolo.

La buona volontà è un punto chiave: come in tutti i percorsi formativi è necessario essere ispirati ad andare avanti nonostante le difficoltà.

La volontà di uscire dalla “comfort-zone” e di abbandonare i pregiudizi; se si arriva da altre esperienze tecnologiche, il mondo Salesforce può davvero sembrare molto strano, con un marketing così spinto, mascotte che parlano e insegnano, portali di training con grafiche divertenti…non lasciatevi imbrogliare, Salesforce è tutto fuorché banalizzazione e leggerezza…ma perchè non divertirsi mentre si impara?

La passione è sicuramente un valore aggiunto.

In generale chi ha già un background tecnico non troverà alcuna difficoltà tecnica nell’allinearsi alla tecnologia, per chi invece vuole mettersi alla prova, ci sono tanti percorsi di formazione che non richiedono (almeno in una prima fase) di saper programmare: ho visto in questi anni tanti colleghi non tecnici diventare nel corso di un progetto esperti della piattaforma, riuscendo anche a leggere, se non scrivere, codice e ipotizzare una risoluzione dei bug con il coding stesso.

Con l’opportuna formazione, chiunque può essere utile e contribuire con le proprie capacità in un progetto Salesforce o nella nostra community.

Negli ultimi anni sei stato nominato 5 volte “Salesforce MVP”: cosa significa questo per te e quale lo sforzo dietro questo risultato?

Ricordo ancora quando ricevetti la mail con la comunicazione della mia prima nomina ufficiale, nel lontano febbraio 2016: non riuscivo a credere che un programmatore residente in un’isola nel mediterraneo (per chi non l’avesse capito dal mio cognome, sono sardo) poco conosciuta oltre i confini europei, potesse arrivare ad un traguardo internazionale così grande e prestigioso.

Il tempo che dedico al mondo Salesforce è una buona parte della mia giornata lavorativa e non, e devo ringraziare mia moglie Alessandra se riesco a dedicare buona parte del mio tempo libero alle mie passioni extra-lavorative: se dovessi quindi quantificare il tempo e lo sforzo giornalieri, direi che Salesforce occupa la maggior parte del mio tempo, sia lavorativamente che non, ma l’entusiasmo e il ritorno in termini di soddisfazioni e feedbacks dalla community sono tali che ogni minuto dedicato è di grande valore e ben speso.

Qual è l’importanza della community in un lavoro come il tuo e quali prospettive future vedi in questo ambito?

Nel lavoro “day by day” avere una community come la Ohana Community è un vantaggio enorme: è molto difficile che un problema o una soluzione non siano già stati affrontati nè documentati nelle decine di canali disponibili dalla Trailblazer community alle centinaia di blog dedicati al mondo Salesforce, dal canale dedicato su Stackoverflow agli svariati canali social su Twitter/LinkedIn/Facebook, nonchè le decide e decine di eventi online e in persona organizzati sia da Salesforce stessa che dai gruppi di lavoro locali.

Vista la grande diffusione globale delle tecnologie dell’ecosistema Salesforce, la community diventerà sempre più importante e fondamentale nel percorso di formazione e adoption per aziende e professionisti.

Un rammarico è vedere la community italiana un po’ indietro da questo punto di vista, il fatto di essere l’unico MVP italiano non vuol dire che io sia l’unico in grado di arrivare a questo traguardo ma semplicemente che nessuno in Italia abbia ancora deciso di mettersi alla prova. Conosco tantissimi ragazzi di alto livello e con tutte le carte in regola per raggiungere questo ed altri obiettivi, e dare un contributo italiano all’interno della community.

In Italia i giovani sono sempre stati poco attratti dalle materie scientifiche e oggi questa tendenza si riflette sulle statistiche dove siamo fanalini di coda sulle competenze digitali. Come si fa a convincere un giovane che quello è il futuro, o meglio e’ già il presente?

Personalmente, in quanto “nerd”, sono sempre stato affascinato dalla tecnologia e dalla scienza in generale, quindi ho sempre visto tecnologia e scienza come una scoperta continua, si tratti di biologia, fisica, matematica, astronomia o informatica.

Suppongo che i problemi siano di due tipi: la concezione che la scienza in quanto tale è appannaggio solo di “scienziati” e che quindi sia fondamentalmente complicata da affrontare, ma anche probabilmente un sistema scolastico non pronto per affrontare questo tipo di competenze. Non fraintendetemi, io sono convinto che il nostro sistema pubblico di formazione sia un’eccellenza e dia in generale una preparazione ottimale e omnicomprensiva, ma penso di parlare a nome di tanti se dico che nella mia gioventù se non si è trattato per qualche docente che autonomamente ha deciso di insegnarmi qualcosa in più di quanto presente nei programmi ministeriali (a volte un tantino datati), avrei trattato le stesse materie e argomenti dei miei genitori.ì o chi prima di loro.

Questo purtroppo ha reso l’Italia fanalino di coda nelle materie STEM.

Quello che mi sento di dire ai giovani è di dare una chance alle materie scientifiche perché volenti o nolenti queste saranno il futuro delle loro carriere nei decenni a venire.

Inoltre consiglio sempre di mantenere una mente aperta e curiosa e soprattutto di essere pazienti, nessuno è nato con la conoscenza infusa e la scienza mostra sempre sorprese, qualsiasi campo si scelga di seguire.

Cosa significa per te essere un trailblazer?

Essere un trailblazer è qualcosa che non è legato ad una etichetta, non è qualcosa che decidi di fare di punto in bianco o che qualcuno può importi di essere. Ma questo vuol anche dire che tutti possono esserlo nel loro mondo e trascinare gli altri assieme a loro.

Posso essere un trailblazer se aiuto un collega, un amico o uno sconosciuto sul web a risolvere un problema con le conoscenze che io ho acquisito, condividendo un pezzo della mia conoscenza con gli altri, permettendo quindi “al prossimo” di imparare e migliorarsi: non c’è settimana che non impari qualcosa di nuovo, sia tramite ricerche online che tramite amici e colleghi, è davvero sorprendente.

Posso essere un trailblazer se creo il mio blog personale in cui condivido in modo del tutto gratuito e disinteressato qualche novità o una piccola app che mi ha aiutato a risolvere un challenge nel mio lavoro quotidiano, con la speranza che qualche altro trailblazer possa averne necessità: soprattutto nel mondo degli sviluppatori, si tende ad essere pigri e a sviluppare piccole app per automatizzare task che possono essere eseguiti meccanicamente più volte, e nel mio lavoro questa è un’attività che capita con cadenza decisamente frequente (e che mi permette di divertirmi ed essere creativo mentre lavoro).

Posso essere un trailblazer se decido di uscire dalla mia zona di conforto e addentrarmi in una nuova tecnologia che non ho mai visto prima, divertirmi mentre lo faccio e poi condividere la mia esperienza in modo che il percorso che ho tracciato sia facilitato per chi viene dopo di me. Nel mio lavoro quotidiano questa è una costante, se qualcuno non ha mai visto una tecnologia o un prodotto ci sono alte probabilità che io venga interpellato per dare una mano e una probabile guida: questo ha lo svantaggio di mettermi sempre di fronte a ciò che non so e molto raramente a ciò che so già, ma allo stesso tempo mi costringe a mettermi in discussione.

Ma soprattutto, un trailblazer è definito dalla sua community e dagli altri trailblazers, senza i quali non può esprimere il suo potenziale.

Per tutti coloro che hanno voglia di mettersi alla prova dico solo: buttatevi, non abbiate paura, diventerete dei fantastici trailblazers!

Leggi le altre interviste ai talenti dell’ecosistema Salesforce nella sezione dedicata del nostro blog

Stefano Cassola

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