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L’innovazione si fa con i talenti e in modo sostenibile: ecco i pilastri della società “deep tech” di domani

L’innovazione si fa con i talenti e in modo sostenibile: ecco i pilastri della società “deep tech” di domani

Un DNA votato alla "produzione" di innovazione in modo sostenibile: questa è Roboze, scaleup pugliese che annovera fra i suoi clienti aziende manifatturiere di oltre 25 paesi.

Fra i suoi clienti vi sono aziende manifatturiere di oltre 25 paesi, aziende che grazie alla sua tecnologia di stampa 3D per super polimeri hanno reso i propri processi produttivi più efficienti e personalizzati. I numeri dicono parecchio della strada che Roboze ha compiuto dalla sua nascita (nel 2015) ad oggi, attraendo via via investitori di spicco come Nova Capital, Equiter (Intesa San Paolo), Lagfin (Gruppo Campari Holding), Andrea Guerra (ex Ceo di Luxottica), Diego Piacentini (ex senior Vp di Amazon) e l’inventore del microprocessore, Federico Faggin. Numeri che si riflettono per esempio in un organico che supera le 100 persone o in ricavi che negli ultimi quattro anni sono raddoppiati anno dopo anno. Ma a rendere unica la scaleup pugliese, come mi ha raccontato il suo CEO & Founder, Alessio Lorusso, è soprattutto il suo Dna votato alla “produzione” di innovazione in modo sostenibile.

Il piano di rilancio del sistema Paese (il PNRR) ha nel Mezzogiorno una componente centrale: è l’occasione buona per l’accelerazione digitale delle imprese del Sud?

Non è solo un momento buono, perché credo non ci sarà più un momento così buono! Il Sud ha sicuramente la possibilità di giocare un ruolo da protagonista, partendo dal trattenere i talenti o riportarli in Italia e cavalcando una tendenza che vede la glocalizzazione essere un fattore oggi più importante della globalizzazione.

Quali dovrebbero essere i capisaldi per creare un ecosistema virtuoso che possa veramente rendere l’Italia un Paese di eccellenze tecnologiche da esportazione?

Alla base di tutto c’è la voglia di fare, e questo requisito deve essere radicato soprattutto nei giovani. Per le buone idee i soldi dei venture capital ci sono sempre, ma occorre avere capacità di progettare e di sperimentare, di essere imprenditori nel senso più profondo del termine, di mettersi in gioco e avere fame di successo. Siamo nati alla periferia di Bari, forse nel luogo meno indicato dove avviare una startup tecnologica, eppure abbiamo vinto la scommessa, con grande dedizione e sacrificio. La voglia di fare fa la differenza!

Le startup innovative in Italia a fine 2021 (dati Mise) erano circa 14mila, ma le scaleup sono poche e di unicorni ancora non c’è traccia: dove abbiamo sbagliato?

Sono troppo pochi i nuovi imprenditori che nascono nelle nostre università. Il modello di finanziamento del percorso di studi universitario è retrogrado e va ripensato anche in termini di offerta formativa con il supporto diretto delle aziende, sposando una logica di “mindset” imprenditoriale e favorendo lo sviluppo di un circolo virtuoso per la creazione di nuovo tessuto economico. Faccio un esempio: negli Stati Uniti, le imprese della Silicon Valley finanziano le università della California e i Venture Capital partecipano attivamente alle lezioni del MIT o di Standford, intercettando le idee dei migliori talenti. Dal life science ai materiali, tutto ciò che è “deep tech” sarà il futuro della vita dell’uomo per i prossimi 100 anni. Il “deep tech” ha bisogno di capacità di visione unita alla capacità del fare. Chi meglio di noi. L’Italia può incidere moltissimo in queste condizioni. Abbiamo la possibilità di creare un nuovo Rinascimento Italiano.

Si parla da anni di open innovation come ulteriore motore per la crescita della competitività del sistema Paese: è la strada giusta?

La nostra storia è fatta di piccole e medie imprese e di poche grandissime aziende. La velocità di innovazione è tutto, perché il tempo di reazione è fondamentale e il fattore chiave per il successo è “il cosa nel quando”. Pmi e startup, a mio avviso, sono i veri motori dell’innovazione.

Sul vostro sito si legge: “…L’unica strada percorribile è verso un futuro sostenibile per tutti….”

La sostenibilità è un elemento fondamentale ma se n’è parlato troppo e a sproposito. Sono convinto che la sostenibilità debba essere innanzitutto finanziaria, prima ancora che ambientale. Il business, in altre parole, deve essere in grado di spingere il modello sostenibile: come Roboze noi puntiamo a redistribuire la produzione in loco dove sorgono le imprese, utilizzando solo le materie prime necessarie ed azzerando gli sprechi. E più le aziende riciclano, più il modello genera valore.

Le tecnologie digitali hanno accelerato il cambiamento dei modelli di lavoro, Roboze sviluppa avanzate tecnologie di stampa 3D per cambiare la vita alle imprese manifatturiere. Ci state riuscendo?

Siamo ai primissimi passi, la strada è lunghissima. Stiamo costruendo un mondo dove l’efficienza incontra la sostenibilità, dove le persone si concentrano su grandi idee e progetti per riportare il valore all’interno del territorio, sviluppando la futura generazione di talenti per creare il mondo di domani. Entro i prossimi 30 anni dovremmo riuscire a cambiare modelli oggi ormai obsoleti: uno dei nostri obiettivi è quello di contribuire al ridisegno della supply chain globale attraverso la nostra tecnologia brevettata di stampa 3D per super materiali, creando un sistema produttivo circolare e sostenibile che riporta la produzione vicina al punto di utilizzo, riducendo i trasporti e le relative emissioni di Co2, consegnando parti just-in-time e on demand.

In Italia si vive il paradosso del miss match delle competenze tech e digitali, con molte aziende che non trovano figure specializzate. Come se ne esce?

La sfida principale, a mio parere, è quella di riportare in Italia i cervelli, i professionisti e gli scienziati scappati all’estero. Sono il profilo migliore in assoluto dal punto divista della professionalità, perché combinano una formazione di eccellenza tipicamente italiana a una capacità di execution fra conoscenza e business che rispecchiano modelli più internazionali. Per le figure STEM e i talenti in rosa il gap è globale, ma in Italia è particolarmente acuto. La ricetta per colmarlo? Accelerare i tempi della formazione e avviare percorsi di learning paralleli, gestiti direttamente dalle imprese in collaborazione con strutture agili e veloci. È l’impresa che deve scommettere, e oggi la scommessa su cui investire è il sistema di formazione.

Un’ultima domanda: cosa significa per Roboze essere un trailblazer?

Lasciando da parte la tecnologia e il prodotto, vogliamo essere i promotori di un movimento che punta sui talenti e sulle competenze e che genera ecosistemi virtuosi per attrarne altri. Vogliamo essere l’azienda che scrive un pezzo di storia dell’innovazione italiana, convinti che il progresso tecnologico sia espressione del progresso umano e che, in quanto esseri umani, il valore della persona deve essere al centro di tutto.

Vuoi saperne di più sulle strategie di innovazione dei nostri trailblazer? Leggi le loro storie nella sezione “CEOs Conversations”!

Mirko Spinelli

Da quasi 8 anni in Salesforce e con esperienza decennale all'interno di aziende di Information Technology, Mirko Spinelli ricopre oggi il ruolo di Regional Vice President con la responsabilità della business unit PMI sul mercato italiano. Supportare le aziende italiane nei processi di innovazione strategica basati sulla trasformazione digitale è sempre stato il suo mantra, con l’obiettivo di renderle sempre più efficienti e competitive nei loro mercati di riferimento, sia in Italia quanto all’estero. Laureato presso l'Università di Firenze in Lingue e Letterature Straniere e con un successivo percorso in Economia e Gestione Aziendale con MBA, Mirko ha avuto anche esperienza su mercati internazionali ed è oggi impegnato su tematiche di sviluppo ed investimento su nuovi talenti. Padre, amante dei viaggi e food addicted per costruire esperienze, creare ricordi e raccontare avventure.

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